martedì 9 maggio 2017

I Bambini e le Paure : quanto e come i genitori le influenzano

La paura del buio è un fenomeno molto frequente nei bambini di età compresa tra i due e cinque anni. È infatti a partire da questa età, che i bambini sviluppano la consapevolezza del pericolo, che diventa così elemento della loro immaginazione.
La notte, caratterizzata dal buio e dal silenzio, diventa il momento più adatto per mettere in moto fantasie sui mostri ed esseri misteriosi. È molto facile quindi che la notte venga popolata da personaggi fantastici e pericolosi, che spesso sono l’elaborazione di una paura provata realmente, di un’ esperienza che può aver impressionato. La paura del buio e dei mostri è tipica di tutti i bambini. Nel buio infatti tutto può accadere, a loro insaputa, perché non sono in grado di vedere e distinguere bene le cose; nei mostri e nel buio, i bimbi catalizzano e concentrano tutte le loro paure: soprattutto quelle di essere aggrediti e di non essere all’altezza di difendersi, di essere abbandonati dai loro genitori nel momento del bisogno.



“Un tempo”, dice francesco ridendo, “avevo paura dei coccodrilli; erano sdraiati sotto il mio letto, e dovevo stare attento che nulla sporgesse fuori. Non avevo il coraggio di andare da nessuna parte, ma a un certo punto m’è venuta un idea: io sapevo che mangiavano moltissimo ed era per questo che mi volevano a tutti i costi. Allora ho messo attorno al letto degli Smarties, avrebbero mangiato quelli per primi, così non avrebbero più avuto fame e non mi avrebbero mangiato. Mi sono addormentato e la mattina dopo però gli Smarties erano ancora tutti lì; così ho pensato “ma qui non ci sono coccodrilli” e me li sono mangiati tutti io. Mi è venuto un terribile di pancia, allora ho pensato che i coccodrilli non li avessero mangiati perché non volevano stare male, dunque i coccodrilli c’erano veramente!!. Il giorno dopo ho messo attorno al letto della cioccolata, ma quando il mattino dopo l’ho vista ancora lì mi sono detto che non potevano essere così schizzinosi. Quindi significa che non ci sono coccodrilli sotto il mio letto”.
“Ero a letto e ho sentito uno strano rumore” dice Caroline, “ho pensato: “sta arrivando qualcuno che mi porta via”, avevo le mani bagnate di sudore e quello era sempre più vicino, lo sentivo e ho pensato “adesso mi prende”. Ho iniziato a chiamare forte, allora è arrivata la mamma e mi ha consolato. Non ho più potuto leggere il mio libro sui contrabbandieri, mia madre dice che è colpa del libro se avevo fatto brutti sogni”.
Si può facilmente dedurre dall’esperienza comune, che le paure dei bambini fanno paura ai genitori, generando sensi di colpa e spiacevoli emozioni, facendo sorgere domande circa le cause di manifestazioni di timore che altri bambini sembrano non avere. Succede spesso che i genitori si sentano confusi e perplessi e non sappiano reagire e rispondere adeguatamente alle paure dei figli, chiedendosi invece se ci siano stati degli errori nel metodo educativo utilizzato, o quali siano le risposte giuste da dare ai figli, o ancora se sia possibile crescere dei figli senza che sviluppino delle paure.
I bambini, sotto l’influenza di una normale predisposizione, del loro temperamento, del clima familiare, sperimentano nei primi anni di vita delle paure che poi manifesteranno apertamente; inoltre esistono le paure che scaturiscono dal rapporto genitore-bambino. Capita non di rado che i genitori sottovalutino, senza volerlo, le paure dovute ai metodi educativi; quando ad esempio una madre dice “io di qua me ne vado!”, nel bambino possono crearsi profonde paure di separazione, di abbandono. È certo che le paure dei bambini non possono essere affrontate con perfezionismo educativo, e neanche con risposte ritenute oggettivamente corrette, sono spesso proprio queste risposte che non vanno bene ai bambini e che richiedono sforzi superiori alle loro capacità; risultano essere molto più appropriate risposte sincere che si adattino all’età, ai desideri e alle esigenze dei bambini; è insieme a loro che bisogna trovare la strada per superare gli ostacoli e vivere un’esperienza consapevole affinché affiorino e si affrontino percorsi individualizzati. Dai bambini si può imparare molto, è affascinante il loro modo coraggioso, magico, giocoso, paradossale, anarchico e provocatorio, di porsi davanti alle paure. La loro capacità d’immaginazione, la loro creatività, il loro umorismo, sono qualità che forniscono loro una distanza protettiva, e se li si lasciano agire senza inibirli o deresponsabilizzarli, riporranno la loro fiducia nelle loro forze. Esiste un lato della paura che fa parte della vita, che protegge, che fortifica e rende pratici; i bambini possono sviluppare tale lato produttivo solo se si evita di educarli con la paura, solo se i genitori non usano la paura in funzione dei loro scopi, perché così usata essa diviene schiacciante e limitante nei confronti dello sviluppo infantile.
La paura ha due facce.
Esistono diverse forme di paura, esistono paure che nascono dall’educazione, paure condizionate dallo sviluppo e paure patologiche che necessitano di un trattamento terapeutico (fobie). Per lo più se parliamo di paura, parliamo di un’esperienza naturale per l’essere umano; essa possiede una funzione di salvaguardia e serve a garantire la sopravvivenza, si tratta di una preparazione psicologica e cognitiva necessaria per affrontare una situazione ritenuta pericolosa, esorta alla prudenza e aiuta a valutare realisticamente un pericolo. Se non fosse stata elemento del corredo naturale, l’umanità non sarebbe sopravvissuta negli ultimi millenni. Le paure però, richiedono anche di essere superate e affrontarle consapevolmente, liberamente, mettervisi di fronte, presuppone fiducia nelle proprie forze. Elaborare una paura rafforza la stima in se stessi, con il formarsi e lo svilupparsi delle paure nel corso della crescita, i bambini attuano e perfezionano anche strategie per superarle, ma a volte imparano che non sono in balia delle paure, bensì indifesi di fronte ai propri genitori, che non li reputano in grado di poterle affrontare in modo creativo; con questo però non si vuole negare l’esistenza di paure che limitano e impediscono lo sviluppo. Il termine “angoscia”, sentimento che spesso accompagna la paura, deriva dal latino “angustiae”, ovvero strettezza e l’aggettivo “angustus” significa stretto, limitato. Durante la loro infanzia i bambini vivono situazioni che li mettono sotto pressione, a volte si tratta di un’educazione iperprotettiva, che non li lascia liberi, tenendoli in una stretta soffocante, ma a volte anche l’esatto contrario può generare in loro paura: la mancanza di contatto fisico e di sostegno, l’indifferenza, il vuoto emotivo che non di rado letteralmente si abbatte su di loro. I bambini che non si sentono accettati, chiedono attenzione, anche con azioni disturbanti ed eclatanti, oppure con segnali psicosomatici come mal di testa o mal di pancia. Bisogna tener presente che se una paura assume dimensioni che impediscono una vita normale, divenendo un ostacolo alla maturazione del bambino, mettendo a rischio il normale svolgimento dei compiti quotidiani, allora essa ha perso qualsiasi valore protettivo; in tal caso intralcia uno sviluppo armonioso divenendo debilitante, minacciosa. Mentre la paura vitale è accompagnata da strategie di superamento costruttive che danno un senso di forza, quella patologica indebolisce, trasmette un senso di incapacità e di impotenza . La paura è una reazione che si mette in moto davanti ad un pericolo oggettivo o presunto tale; il bambino che si sente esposto ad un pericolo, abbandonato a se stesso, minacciato da un oggetto che lo intimorisce, quando cresce, si sente più forte e non più esposto all’oggetto dei suoi timori, così la tensione tra la propria debolezza e la grande minaccia percepita si riduce. Mentre la paura è riferita spesso ad uno solo oggetto, l’angoscia spesso è contrassegnata da significati ambigui che rendono insicuri ed esercitano nel contempo una sorta di attrazione; essa si collega a sentimenti che evocano debolezza, incapacità, vulnerabilità, ma spesso si accompagna anche a vissuti di impotenza che sembrano rendere incapaci di affrontare il pericolo costruttivamente. Quanto detto, vale soprattutto per le paure indotte dall’ambiente sociale in cui vive il bambino e dall’educazione che riceve, e sono proprio queste le angosce che si presentano particolarmente minacciose per il bambino e occupano intere sfere della sua personalità, intaccando negativamente la sua fiducia di base e la sua autostima. La fobia è un’angoscia deviata, collegata a specifiche fantasie, può imporre l’esecuzione di un’azione, oppure può imporre di non compiere determinate azioni, un atteggiamento compulsivo che può assumere anche vaste proporzioni.
Paura, angoscia, fobie, possono essere apprese, e tale apprendimento, detto condizionamento, avviene normalmente in situazioni composite, ad esempio un rumore improvviso accompagnato da un evento anch’esso inatteso, come l’incontro con un cane, può generare una fobia verso i cani; in uno stadio successivo il processo subisce un’ulteriore generalizzazione trasferendosi probabilmente anche su altri animali e può arrivare al punto tale che non serve neanche incontrarli, basterà l’idea di incontrare un animale per provare angoscia, sentirsi insicuri, nervosi e reagire fobicamente. Bisogna ricordare però che le angosce apprese in queste situazioni e con queste modalità, possono essere superate attraverso un trattamento terapeutico.
La paura come emozione
Abbiamo sicuramente notato come le paure si manifestino fisicamente e siano collegate a precise reazioni: il soggetto in preda alla paura ha gli occhi sbarrati oppure serrati, le pupille dilatate, le orecchie tese a cogliere ogni rumore sospetto oppure tappate con le mani, e ancora ha la “pelle d’oca”, sudorazione intensa, sensazione di caldo alla testa, pulsazioni accelerate. In questo stato di allerta, anche gli organi interni, come intestino e reni, lavorano ad un ritmo vorticoso, tanto da produrre diarrea e disturbi di digestione. Anche se ogni soggetto è diverso dall’altro, alcune manifestazioni di paura sono uguali per tutti: più estesa è la situazione che provoca paura, più sembrerà minacciosa al soggetto e più violente saranno le emozioni provate. L’affettività gioca un ruolo fondamentale, infatti, soprattutto le paure generate da un certo tipo di educazione, favorite da frasi intimidatorie usate dal genitore per gioco o come mezzo di intimidazione, possono avere effetti considerevoli; Intimidire – “aspetta solo che diventi buio e torni papà!” oppure “Questo lo dirò all’uomo nero” – razionalizzare – “non devi avere paura, non c’è motivo!” – ignorare – “ma dai, non è successo niente!” – drammatizzare – “povero piccolo, che brutti sogni! Ma adesso ci sono qua io!” – non aiuta certo i bambini, ne aumentano semmai il senso di dipendenza. In realtà, i bambini chiedono di essere accettati e presi sul serio con tutte le loro paure, che a volte possono essere nascoste, ma spesso individuabili attraverso sintomi correlati:
Si parla di regressione nei casi in cui, bambini che hanno da tempo assunto il controllo sfinterico, tornano a bagnare il letto la notte, a palare come un bambino piccolo, a fare richieste inusuali, come mettere di nuovo il pannolino. Altri sintomi che possono fungere da segnalatori della presenza di una paura intensa sono: paura intensa ed eccesso di adattabilità, mancanza di curiosità ed eccesso di chiusura, impazienza, nervosismo, aggressività, mancanza di distanza da persone sconosciute.
Angosce nascoste, si mascherano dietro ad innumerevoli sintomi che non necessariamente indicano soltanto paura. Per poterle interpretare correttamente è necessario osservare attentamente il bambino; il suo comportamento manifesto non è sufficiente per poter parlare con certezza di un sintomo di paura.
Elaborare le paure
Un mondo senza paure, è un’illusione, anzi, un’utopia negativa. Un’educazione protesa a tener lontana qualsiasi paura, rende i bambini incapaci di affrontare la vita, tanto quanto un’educazione oppressiva che fa leva sulle minacce. Un’elaborazione e un superamento auto-determinati delle paure sono importanti per la formazione dell’Io e per la crescita della fiducia in se stessi. Nel processo di superamento i bambini hanno bisogno dei genitori, in modo da sperimentare fiducia e sostegno; essi hanno modalità proprie per superare la paura: la mettono in scena, le danno un volto, e anche se ogni elaborazione è unica, i genitori possono sostenerla con alcuni interventi. È necessario trasmettere al bambino il senso di sicurezza e protezione, fargli capire che si crede in lui, nella sua capacità di superare la paura; sentendosi sicuro, avendo fiducia in se stesso, affronterà con maggiore inventiva e creatività la situazione. La paura del bambino va presa sul serio, non dovrebbe essere né drammatizzata, né minimizzata, non serve a niente razionalizzarla, quello che conta è un ascolto attivo, la partecipazione, la comprensione, l’empatia; non si deve risolvere il problema al suo posto, per questo è importante stimolarlo ed aiutarlo magari chiedendogli “cosa faresti tu per superare questa paura?”; i bambini sono pieni di idee magiche, di fantasie. I bambini che non collaborano nel superamento della paura, probabilmente finalizzano la paura stessa, ovvero la usano per raggiungere, anche se inconsapevolmente, uno scopo, come attirare l’attenzione, creare sensi di colpa, produrre un senso di impotenza. Il superamento, qualora si trovi la soluzione adatta, non avviene dall’oggi al domani, le paure infatti si manifestano improvvisamente ma possono scomparire lentamente; ogni bambino ha i suoi tempi ed il suo modo di procedere, al di là degli aiuti esterni, il temperamento del bambino determina, spesso con grandi frustrazioni per i genitori, la velocità con la quale le paure vengono elaborate.
Paure e timori sono certamente condizionati anche da una certa predisposizione, dal temperamento del bambino; già nei neonati si possono osservare reazioni molto diverse da bambino a bambino, di fronte a situazioni simili. Tuttavia, quando parliamo di sviluppo delle paure infantili e ci riferiamo a fattori condizionati da una certa predisposizione, non bisogna dimenticare che gli influssi dell’ambiente esterno si ripercuotono già in stato prenatale sul temperamento del bambino. L’abuso di alcool, medicinali, sigarette, da parte della madre, durante la gravidanza, ha conseguenze gravi sulla costituzione del bambino, tanto quanto il suo comportamento e il suo stato emotivo.
Le paure accompagnano la crescita.
Le paure dei bambini possono sorgere nei modi più diversi, Kierkegaard sosteneva che la paura fosse possibile sono in presenza di libertà, libertà di svilupparsi, di cominciare qualcosa di nuovo, di osare, di andare incontro al mondo e paura stimolante, che rende creativi; porsi di fronte a compiti prefissati comporta tensione e stress, perché il compito include anche un’aspettativa di successo, mentre invece si potrebbe fallire. Se non si esce allo scoperto per non confrontarsi con questa libertà e con le paure annesse, non si può conquistare l’indipendenza, non si può sviluppare l’autostima; chi, fuggendo le proprie paure, non si pone dinanzi al nuovo, sviluppa un timore che è la paura della paura, che diviene ostacolo, a volte malattia.
Nei primi cinque anni di vita, il bambino sperimenta le cinque forme di paura che lo accompagneranno per tutta la vita; innanzi tutto la forma primaria di paura è la perdita del contatto fisico, poi la paura dell’estraneo, intorno agli 8/9 mesi, a seguire, una volta che il bambino inizia a muoversi, si presenta la paura della separazione, che si forma tra i 12 e i 18 mesi di età e raggiunge il suo apice intorno al secondo, terzo anno di vita, spesso sotto forma di difficoltà nel sonno; in questo momento sperimenta la paura di annientamento, a cui si aggiunge, introno ai 4/5 anni, la paura della morte.
Esistono anche le cosiddette paure sociali, quelle condizionate dall’educazione, apprese il più delle volte in casa e che possono essere ricondotte a diversi fattori: una relazione educativa problematica, che può essere data da stress nella relazione genitoriale come da un ambiente emotivamente freddo; un’educazione volutamente repressiva o umiliante; un’educazione incoerente, accompagnata spesso da minacce di punizioni; un’educazione priva di regole che abbandona il bambino a se stesso e spesso si trasforma in punizioni impulsive; un’educazione iperprotettiva, ostacolante, che non lascia libertà alcuna al bambino; un’aspettativa esagerata nelle sue capacità, che significa non accettazione del bambino nel qui ed ora e che lo prepara ad un futuro immaginario.
Comprendiamo facilmente quindi, che è distruttivo cercare di crescere i propri figli senza esporli mai di fronte alle paure, piuttosto è importante incoraggiarli a elaborarle, dando loro sostegno e sicurezza; tenerli lontano dalle paure li educa alla paura della paura, li rende indifesi, dipendenti, privi di protezioni contro l’ansia.
Non esiste una necessaria correlazione tra un’infanzia difficile ed una vita difficile, l’effetto delle esperienze negative può infatti essere annullato; indipendentemente da ciò, è anche vero che se un bambino non ha alcuna possibilità di elaborare le paure, se non possiede alcuna difesa, alcun sostegno, la conseguenza può essere uno stato di disperazione che si protrarrà per tutta la vita e che non necessariamente si manifesterà con azioni distruttive, potrebbe mostrarsi anche in un comportamento opposto, ovvero con la tendenza a non farsi mai notare, ad essere eccessivamente adattato.
Attaccamento e base sicura.
Con la nascita, con il taglio del cordone ombelicale, il bambino si separa dalla madre pur continuando a dipendere da lei; le sue cure e la sua presenza gli garantiscono la sopravvivenza fisica e psichica. Nei primi mesi di vita il neonato è tanto attaccato, quanto dipendente, condizioni indispensabili per restare in vita; egli riconosce la madre dalla voce e dall’odore, ma non distingue ancora le altre persone, svilupperà questa capacità solo intorno al sesto mese di vita (fatta eccezione per le persone che si prendono cura di lui stabilmente, come il babbo, i nonni…). Quando viene meno il contatto fisico con la madre, quando il neonato si sente a disagio, si fanno strada le prime paure e le urla, gli strilli, i riflessi di grasping del piccolo, rappresentano una lotta per la sopravvivenza che deve essere sostenuta dalle persone di riferimento, in particolare dalla madre. Nelle successive fasi di crescita, il bambino supererà autonomamente le paure, ma in questa fase è incondizionatamente dipendente dai genitori che possono sostenerlo attraverso il contatto fisico (“calmante universale”), l’affetto, la consolazione e l’immediato soddisfacimento dei bisogni.
Affinché si sviluppi una fiducia di base ed un legame sicuro, è importante che i bisogni infantili vengano soddisfatti in maniera coerente, affidabile e spontanea. Alcuni genitori, durante questa fase dello sviluppo, non accorrono quando il bambino piange perché pensano di viziarlo, di creare una dipendenza reciproca, ma queste riflessioni possono avere effetti negativi sullo sviluppo emotivo del piccolo. Non accettare un bambino nel qui ed ora significa vedere un neonato di sei mesi nella prospettiva di un bambino di forse sei anni; questo modo di vederlo non rende giustizia al neonato, e può portare ad errori di valutazione importanti, perché solo intorno ai 2/3 anni un bambino acquisisce la capacità di rimandare i propri bisogni, di sopportare le frustrazioni. Un legame sicuro con la madre, o con le persone che si prendono cura di lui, fornisce al bambino quella che Bowlby chiama “base sicura”, su cui poggiano il desiderio di esplorare, il senso di sicurezza, le capacità sociali e l’elaborazione costruttiva delle paure.
John Bowlby ha messo in luce le radici culturali della “coperta di Linus”, infatti, tra le popolazioni primitive, dove nei primi mesi di vita i bambini di notte hanno un contatto fisico diretto con la madre, i piccoli si legano meno ad oggetti inanimati, non esistono insomma gli oggetti sostitutivi. Per noi è invece normale che siano i peluche, le coperte di lana ad aiutare il bambino a prendere lentamente distanza dalla base sicura; gattonando, camminando, i bambini si allontanano da questa base, ma il peluche fa si che il suo ricordo rimanga vivido. Per quanto un legame sicuro sia importante per uno sviluppo emotivo solido, offrendo sostegno ed affidabilità, altrettanto importante risulta essere la capacità dei genitori di adattare il tipo di rapporto educativo allo sviluppo del singolo bambino; un legame che offre sostegno ad un neonato, facilmente porterà il bambino di tre anni a sentirsi soffocato, il concetto di legame, infatti, presuppone, nel momento in cui la relazione tra madre e figlio diviene più matura, la capacità di lasciarsi andare reciprocamente, di vivere un equilibrio armonioso tra vicinanza e distanza. A partire dal terzo anno i bambini assumono maggiore autonomia e questo con una consapevolezza di sé tanto più profonda quanto più hanno introiettato la base sicura.
Selettività, vicinanza e distanza.
A partire dal sesto mese di vita circa, i bambini sviluppano la capacità di distinguere persone familiari e non; si tratta di un importante passaggio nella maturazione, prodotto da un affinamento nella percezione sensoriale; il bambino acquisisce lentamente consapevolezza dell’ambiente che gli è familiare, non sorride più a chiunque, non si fa più prendere in braccio da tutti. Diviene normale che egli si intimidisca quando un estraneo si avvicina troppo fisicamente, o che abbia paura di situazioni sconosciute, in bilico fra l’attrazione esercitata da possibili nuove scoperte e la paura dell’ignoto; vorrebbe camminare, correre in avanti e al contempo cerca il contatto visivo con chi si prende cura di lui, ha bisogno della certezza di non essere solo. Molti bambini necessitano, nei confronti delle persone non conosciute, di un periodo di avvicinamento di cui decidono i tempi e i modi; se gli altri mantengono la distanza, allora, prima o poi, i bambini prenderanno l’iniziativa e cercheranno il contatto visivo, sorrideranno, faranno tentativi di avvicinamento, fino ad arrivare al contatto fisico. È necessario rispettare questa fase di sviluppo, se i bambini non danno subito la mano, non si dimostrano subito gentili, è perché si stanno proteggendo; il corpo e l’istinto evidentemente emettono segnali che impongono una distanza di sicurezza, una posizione dalla quale poter sperimentare la loro curiosità senza essere troppo coinvolti. Se i bambini vengono rinforzati nei loro atteggiamenti autoprotettivi, allora potranno anche disporre, in assenza dei genitori, di un importante meccanismo di autoaffermazione e sopravvivenza; i genitori che per un eccessivo senso di cortesia nei confronti degli altri, rispondono al rifiuto di contatto da parte del figlio, incalzandolo emotivamente, creano nel piccolo insicurezze, perché non lasciano il tempo necessario a conoscere, elaborare e poi giudicare.
I primi distacchi.
La separazione di cui parleremo in questo paragrafo, ha tutta l’importanza dell’iniziare qualcosa da soli; essa avviene tra i poli dell’abbandono e dell’affidabilità, quanto più i bambini hanno sviluppato fiducia di base e sicurezza di sé, quanto più la loro vita e il loro sviluppo sono stati caratterizzati dall’affidabilità, tanto più consapevolmente affronteranno da grandi il mondo, sapendo lasciare i “luoghi” conosciuti. Il neonato che gatto conquista la stanza, il bambino che cammina conquista la casa, quello più grande che corre, conquista il giardino e poi i dintorni, e dopo non molto si raggiungono i confini della località, poi quelli della regione. I confini, danno ai ragazzi la certezza di ciò che sanno fare, ma oltre i confini ci sono spazi da conquistare, e per far ciò è necessario separarsi da ciò che è familiare, dire addio allo spazio noto. Carl Gustav Jung descrisse questa esperienza basilare dello sviluppo nel seguente modo: “bambino significa qualcosa che si sviluppa verso il raggiungimento dell’autonomia. Esso non può realizzarsi senza il distacco dall’origine, l’abbandono è pertanto una condizione necessaria e non solo un fenomeno concomitante”. Le separazioni e gli addii, garantiscono una vita propria assicurando il cambiamento e l’innovazione, senza di essi non sarebbe possibile raggiungere l’individuazione, una vita autodeterminata, autonomia e indipendenza, l’identità dell’Io e l’autoriconoscimento. Eroi ed eroine delle favole, insegnano in modo esemplare ai bambini questo processo di individuazione, andando alla conquista del mondo, fanno esperienze, affrontano pericoli e li superano ritornando infine purificati e rafforzati; nella vita reale però, il processo di individuazione si protrae per tutta la vita, anche durante l’età adulta. Il divenire adulti ha a che fare con la crescita e con il cambiamento, ciò è possibile però, solo quando dirsi addio, porre confini e riavvicinarsi, sono principi acquisiti autonomamente; tuttavia, l’indipendenza e l’autonomia non sono gratuite, non sono cioè possibili senza un po’ di paure ed incertezze, e le paure di separazione, accompagnano i bambini nel loro sviluppo. nella loro forma precoce, primaria, si manifestano tra il dodicesimo e il diciottesimo mese di vita, indicando il raggiungimento di una tappa evolutiva. L’ultimo ad essere spezzato è il cordone ombelicale psichico, un’autonomia inizialmente fragile e minacciata da ripensamenti e ricadute emotive. Le paure di separazione non vanno tenute lontane dai bambini, piuttosto bisogna fornire loro l’esempio di strategie che permettono di dominarle , anche se già da soli sanno di solito gestirle con abilità e originalità, sanno elaborare costruttivamente le incertezze se si trasmette loro la sensazione di essere accettati; le fasi di separazione ed il conseguente loro superamento, devono essere loro chiare e limitate, se si presentano diffuse faranno vivere al bambino il vuoto affettivo, con gravi conseguenze; i bambini possono sopportare le separazioni e gestirle in modo produttivo se hanno acquistato fiducia in loro stessi e se l’esperienza ha loro insegnato che tali separazioni sono dolorose ma si possono superare, uscendo da tale processo rafforzati; se si evitano ai bambini le separazioni o gli addii, o li si drammatizza, essi si sentiranno esposti, insicuri e difficilmente riusciranno a sviluppare modalità di reazione liberandosi dalla dipendenza da altre persone. Un legame eccessivamente forte, un comportamento iperprotettivo o troppo concessivo, rendono i bambini insicuri nel loro comportamento sociale, mancando loro autostima e autonomia, evidenti soprattutto in occasioni di separazioni, quando i bambini divengono facilmente impressionabili, paurosi, passivi, preoccupati, irrequieti, tesi. Ciò che manca ai bambini che non hanno un legame sicuro, è il senso di accettazione in qualità di persone, infatti, solo chi si sente al sicuro è pronto per il nuovo, solo chi sa di essere preso sul serio agisce autonomamente, solo chi è considerato come persona autonoma ha considerazione e rispetto per l’autonomia degli altri.
Strategie di superamento delle paure.
J. Piaget ha osservato che nel processo di maturazione intellettuale e cognitivo, si possono identificare specifici stadi di sviluppo, nella crescita affettiva invece, queste fasi possono essere stabilite solo su di un piano teorico. La maturazione emotiva non è un processo lineare di avanzamento, è normalmente segnata da stasi e retrocessioni; i bambini si ciucciano il dito in situazioni di stress, soprattutto per scaricare tensioni emotive che si presentano in concomitanza a situazioni di separazione, abbandono, perdita; succhiarsi il dito, ricorrere al ciuccio o ai peluches, sono regressioni comportamentali del tutto normali, delle quali il bambino ha bisogno per potersi rilassare. Vietare al bambino di succhiarsi il dito, negargli il contatto stretto con il peluche, lo sottopone ad una privazione creandogli un vuoto. In questi casi, se non gli si offrono alternative adeguate per scaricare stress e tensione, si creano paure, si producono incertezze o altre abitudini che saranno molto più radicate e difficili da estirpare. Nelle fasi di transizione, e di fronte ad esperienze di apprendimento nuove, mettere il dito in bocca compensa lo stress, i peluches hanno una funzione consolatoria, il ciuccio tranquillizza. Queste modalità di comportamento regressivo, non sono una forma di ritiro dal mondo, indicano piuttosto percorsi autonomi per accettare esperienze di separazione, paure di perdita e sentimenti di abbandono. Tali comportamenti vanno visti sullo sfondo della maturazione infantile; durante i primi anni è inevitabile che i bambini li mettano in atto, sono tecniche di rilassamento usate per far fronte alle prime paure; ci sono bambini che rinunciano, dall’oggi al domani, a succhiarsi il dito o al ciuccio, e questo dipende sia dal temperamento che dalla maturazione individuale del bambino, i tempi e la velocità di cambiamento sono decisi dal bambino stesso, e ogni bambino ha i suoi tempi. Certamente è possibile fornire un aiuto, ma solo se si procede con cautela, se si considera la peculiarità del singolo bambino, e solo quando il ciuccio o il dito in bocca sono divenuti ormai rituali vuoti, quando il bambino dispone già di tecniche alternative per superare le paure di separazione.
Paure notturne.
Parlando del momento in cui si mettono a letto i bambini, non c’è genitore che non abbia una sua storia di stress a riguardo; il momento di andare a dormire, diviene un problema, quando i bambini vi si oppongono, e sono tante le famiglie che vivono situazioni di questo tipo e spesso le difficoltà aumentano fino agli anni della scuola elementare. I motivi di stress legati all’andare a letto, divengono più chiari se se ne parla con i bambini durante la giornata; il problema di andare a dormire può essere anche un segnale di un bambino che chiede più autonomia cercando di affermare la propria volontà. Il tempo del sonno si accorcia molto rapidamente tra il primo e il sesto anno di vita, ma molti genitori si attengono rigidamente a regole e orari fissati in precedenza, e non di rado, proprio per questo motivo, insorge una prova di forza che può disturbare a lungo il clima familiare. Senza dubbio l’argomento nasconde anche paure infantili, ci sono bambini che temono i sogni notturni, altri hanno paura del buio che equivale alla morte e rende la separazione definitiva. Esistono alcune soluzioni pratiche per migliorare le difficoltà che si incontrano nel prendere sonno, come mettere in pratica un rituale tranquillo, sempre uguale, che accompagni il momento di andare a dormire; avere a disposizione il peluche o l’oggetto che desidera, in modo che il bambino possa adattarlo alle proprie esigenze e trasformarlo in un simbolo inconfondibile; lasciare la porta socchiusa fornendo una fonte di luce in modo tale che il normale intreccio tra realtà e fantasia non trasformi la tenda bianca in uno strano fantasma; i bambini poi imparano ad aiutarsi da soli ed è quindi importante concedere loro quei rituali che hanno sviluppato da soli e non ostacolarli. Dormire tutta la notte ininterrottamente è una cosa che i bambini devono imparare, è solo con il tempo che essi trovano il proprio ritmo, e visto che tale ritmo inizia ad instaurarsi solo dal quarto mese in poi, nel primo anno di vita non è possibile parlare di disturbo del sonno. Le cause dei risvegli notturni sono tanto svariate quanto banali; le fasi del sonno si alternano, dal sonno leggero a quello profondo, a quello popolato da sogni; il passaggio tra fasi, e la fase del sonno leggero, sono facilmente disturbabili, è normale svegliarsi, digrignare i denti, camminare nel sonno, farsi la pipì addosso o spaventarsi, e ciò vale soprattutto per i bambini particolarmente eccitabili. Un bambino che per tali motivi piange, si sente solo, chiede sostegno, e se non riceve alcuna attenzione potrà sviluppare forti paure di separazione e di abbandono, a maggior ragione si sveglierà per assicurarsi della vicinanza dei genitori. Il soccorso notturno è importante, ma se si da troppa importanza ai disturbi del sonno dei figli, il problema può cristallizzarsi; a partire dal secondo anno di vita, si possono incoraggiare i bambini a gestire autonomamente le sensazioni forti che si presentano nel corso del risveglio notturno anche perché spesso, i bambini che si svegliano la notte, non vogliono veramente la madre lì accanto, hanno solo bisogno di una presenza o vicinanza simbolica.
Altra causa di risvegli notturni sono gli incubi, che si manifestano alla fine della notte e che vanno distinti dal cosiddetto spavento notturno, che si verifica alla fine della prima fase di sonno profondo. In caso di spavento notturno, i bambini si siedono nel letto, gesticolano, danno l’impressione di trovarsi in uno stadi di confusione, e mentre al mattino conservano un ricordo vivido dei sogni, non ricordano affatto ciò che li ha fatti spaventare, che normalmente non è niente di profondo.
A quanto pare, di sera e di notte, ai bambini viene a mancare il coraggio, temono di notte i mostri irreali che di giorno mettono in scena; di notte i fantasmi sono grigi, imprevedibili, veloci, diffusi, imprendibili, penetrano nel corpo, infondono paura; lampi, streghe, banditi….simboli delle paure infantili di annientamento che si legano sempre a elementi primari quali temporali, lampi, tuoni, fuoco, o a figure di fantasia, come mostri, fantasmi, vampiri, nelle quali si riscontrano spesso le tracce dei mass media. Due aspetti contrastanti caratterizzano queste simbologie: da una parte affascinano ed attirano i bambini, dall’altra li spaventano; essi credono alla forza della propria magia e fantasia, credono di poter dominare questi elementi primari, ma rimane un residuo di incertezza, i loro poteri potrebbero non bastare, questi esseri potrebbero essere troppo forti, ed allora la fuga notturna nel letto dei genitori si rivela come l’unica possibilità di sopravvivenza.
Quanto più piccoli sono i bambini, tanto più violente sono le paure di annientamento, poiché la loro identità è ancora insufficientemente sviluppata e non si sentono ancora sicuri di sé. Queste paure si manifestano a partire dal secondo anno di vita, e i bambini cercano intensamente un modo per poter dare un volto a queste paure, per strapparle alle ombre indistinte della notte, che ne aumenta la minacciosità; il gioco e le immagini fantastiche, rappresentano a questo punto importanti e del tutto legittimi compagni di percorso per il bambino. L’industria dei consumi, riprende, con i suoi modelli d’azione, questa fascinazione e la carica per i propri fini commerciali; i mass media, mettono a disposizione dei bambini eroi ed eroine aggressivi, che a volte esaltano addirittura la violenza; tuttavia, i bambini tentano già da soli di affermarsi contro le loro paure, ricorrendo a fantasie brutali e spietate. Anziché distogliere il bambino da queste figure o da questi giochi, gli adulti dovrebbero interrogarsi sul significato di queste scelte, perché ai bambini interessano certi giochi? I prodotti offerti dai mass media, usano simboli e figure che fanno emergere le paure infantili, distorcendole e deformandole; il risultato è spesso una rappresentazione esagerata, che inneggia alla violenza, ma la messa all’indice di questi personaggi non risolve i problemi, vietarli o renderli tabù danneggia i bambini; le fantasie, la violenza, i desideri distruttivi che accompagnano le paure infantili non si possono far scomparire solo con la negazione o la rimozione, si possono attenuare con un lavoro comune e duraturo. Se queste figure offrono ai bambini delle soluzioni e riescono ad entrare in contatto con le loro emozioni, un duro out out non ha senso, piuttosto dovremmo chiederci cosa possono fare genitori ed educatori con le fantasie che tali figure scatenano nei bambini; soprattutto, se si permette ai bambini di giocare con tali figure, si possono porre dei limiti al gioco.
L’aggressività nel gioco.
I bambini che vivono paure di annientamento, cercano una propria autonomia e affermazione; nella loro situazione di piccoli Gulliver, sparano in giro e trasformano i mattoncini del Lego o un ramo, in un fucile. Spesso però ottengono solo rifiuti, perché quasi tutti gli adulti non riescono a cogliere il carattere simbolico di questi giochi, dove non si tratta di more vera ma di distruzione e resurrezione; comunemente gli adulti fraintendono tale contenuto e per questo non partecipano al gioco. Dietro al divieto di giocare con le armi, c’è spesso l’incapacità degli adulti di agire diversamente; l’attrazione infantile per scenari, immagini o eroi violenti, nasconde il desiderio di staccarsi, di acquisire autonomia, ma certo senza limiti non si forma l’identità, non sono possibili autostima e fiducia in sé; l’aggressività infantile è una forza dinamica che serve allo sviluppo della propria identità, può essere una forza positiva, desiderio di staccarsi da ciò che si è già raggiunto, ricerca di ciò che ancora non si conosce, ecco perché il processo educativo non deve inibire o reprimere gli impulsi violenti,ma portare al controllo e all’educazione di queste energie, la rimozione, la negazione, la trasformazione in tabù, non elimina l’aggressività, la reprime aumentandone la forza.
Superare le paure attraverso il gioco.
La fase magica del bambino va dal quarto anno di età fino a gran parte del nono, ma anche successivamente si riscontrano fenomeni che sono considerati tipici di questo stadio di sviluppo. durante la fase magica, i bambini si percepiscono come una via di mezzo tra scienziati e maghi, tra ricercatori e artisti; se da un lato il bambino conosce lo svolgimento reale ed il retroscena di molte cose, dall’altro ci sono profonde lacune che egli riempie con le proprie fantasie, con i ragionamenti che egli stesso elabora. I bambini ragionano per immagini, e queste immagini costruite, sia che si tratti di mostri, di ombre, di banditi, possono essere reali tanto quanto la realtà stessa che circonda il bambino; egli anima le cose, gli attribuisce un significato proprio, così i mattoncini del Lego possono ancora diventare compagni di gioco immaginari per il bambino di tre anni, mentre per quello di cinque sono solo giocattoli. Se a tre anni è sufficiente il mantello di Batman per sentirsi uguale al proprio modello, a sette è necessario tutto l’equipaggiamento per dare corpo alla fantasia del super eroe. Ma dare vita alle cose da parte dei bambini può essere un’ arma a doppio taglio. Da una parte da a loro la forza di dimostrare consapevolezza di sé e autonomia, dall’altra proprio attraverso questa magia, anche oggetti e situazioni apparentemente innocui possono diventare mostri terribili. Così le ombre scure si trasformano in fantasmi, le tende mosse dal vento diventano scassinatori, e i cigolii assumono sembianze di ladri dalle dimensioni sovraumane. Il pensiero magico fantastico non è qualcosa di confuso, folle, separato dal mondo, è una forma di intelligenza commisurata all’età, che permette ai bambini di essere creativamente attivi e di comprendere così il mondo da vicino e lontano che li circonda. Capita spesso che i bambini siano convinti che le cose accadono perché loro lo hanno desiderato. Attraverso il pensiero magico i bambini cercano di strutturare, comprendere e spiegare a se stessi, il mondo che li circonda. Nella magia e nel mito i bambini utilizzano un loro linguaggio, pieno di fantasia, di favole e di segreti, un linguaggio che suscita stupore e meraviglia, un linguaggio che gli adulti comprendono troppo poco e che spesso addirittura misconoscono o rifiutano.
Tecniche infantili per il superamento della paura.
Osservando con attenzione i bambini e facendo attenzione al loro bagaglio di esperienze, si possono distinguere diverse tecniche che essi usano per superare le paure.
I bambini organizzano le esperienze in base ai vari significati, colmano lacune cognitive facendo uso delle fantasie, dell’invenzione di un proprio linguaggio e di una concreta e vivida visione della realtà. Con la forza della fantasia i bambini trasformano eventi minacciosi o figure pericolose. Il bambino è creatore dei suoi personaggi; inventa personaggi ed esseri invisibili che, per un determinato periodo, diventano i suoi accompagnatori, per scomparire poi nuovamente dal suo mondo. Attraverso le storie magiche e le favole, vengono proposte al bambino spiegazioni che lo rafforzano emotivamente, anche se questi materiali generano stupore e meraviglia, dando luogo già al sospetto che non possa essere come viene raccontato nelle storie; ma la prospettiva del ”potrebbe essere così” presenta, accanto allo sguardo realistico, un altro modo di vedere la realtà. Mediante il gioco i bambini elaborano quelle impressioni minacciose che suscitano in loro timore; attraverso l’attività ludica viene messa in atto un’intera gamma di emozioni, ed è per questo che il gioco ha effetti tanto benefici. Un effetto simile esiste anche per il rituale che i bambini sviluppano dando una struttura certa a esperienze vaghe o poco chiare, così attraverso le forme codificate riescono, come per magia, a esorcizzare situazioni per loro incerte e inquietanti.
Può capitare che i bambini regrediscano, tornando a stadi di sviluppo precedenti, per potersi sottrarre a situazioni emotivamente troppo forti; alle volte aiuta invece l’atteggiamento contrario, i bambini cioè si immergono con le loro fantasie nel futuro, si catapultano in avanti, per trarre da ciò la forza per il presente.
La fantasia fa paura – la fantasia vince la paura.
La fase magica è una tappa evolutiva avvincente, uno stadio accompagnato da molteplici emozioni che possono essere a volte felici, a volte tristi e opprimenti. La fantasia, che ha un ruolo molto importante, porta con sé alcuni problemi, ma nel contempo propone anche diverse soluzioni. Il superamento delle paure e delle incertezze, è uno dei compiti che pone lo sviluppo al bambino, chiedendogli di mettere in atto tecniche e strategie apparentemente tanto semplici quanto magiche, che permettono un’ efficace elaborazione della paura. Con l’andare degli anni, il bambino sperimenta una crescente differenziazione del linguaggio e delle attività sensoriali; impara a dominare la sua l’impulsività. Questo sviluppo appare spesso incredibilmente veloce, e non dobbiamo dimenticarci che anche in questa fase i bambini imparano a muoversi nel mondo delle percezioni e della realtà concreta, acquistando disinvoltura nel gioco e nell’interazione con il mondo concreto. Ma anche con tutte le nozioni che loro possono aver acquisito dandoci l’impressione di comprendere e sapere tutto, assomigliando a degli adulti in miniatura, hanno ciò nonostante bisogno delle loro capacità magico fantastiche per spiegare il mondo ed elaborare la paura. Nel bambino confluiscono grandi quantità di informazioni, apprende un sacco di particolari, spesso molti di più di quelli che riesce ad elaborare emotivamente e intellettualmente. È per questo che molte informazioni ai bambini appaiono confuse, scollegate tra loro. I bambini cercano allora di trovare e indagare le cause e le condizioni di ciò che hanno appreso o vissuto, dove sono presenti lacune o dove mancano loro le nozioni incominciano il bombardamento di domande oppure adottano modelli di pensiero magici, simbolici e figurativi per disporre poi queste spiegazioni in modo tale che abbiano un senso e un nesso.
Storie di magie e favole.
Nella fase magica dello sviluppo infantile, alcune cose divengono importanti per i bambini, come ad esempio la favola (ascoltata, letta, come rappresentazione teatrale o come film), le storie magiche o i fumetti. Esiste una corrispondenza tra la struttura formale di questi generi e la condizioni psichica dei bambini tra il quarto e l’ottavo anno di vita; sembra addirittura che questi prodotto aiutino i bambini ad assolvere i compiti che questa fase di sviluppo pone loro. Lo studioso Luthi ha indicato 5 caratteri fondamentali delle fiabe:
1.La favola è unidimensionale: ciò significa che ogni elemento può entrare in contatto col tutto; è normale che oggetti inanimati o animali parlino, che entrino in scena figure di fantasia, che macchine, animali, alberi dispongano di qualità umane; tutti questi esseri danno appoggio, aiutano e salvano l’eroe anche in situazioni pericolosissime; e nessuno se ne meraviglia.
2.Le favole si sviluppano in orizzontale; di conseguenza non esistono spazio e tempo così come non esistono le leggi naturali, la forza di gravità, la logica; le favole hanno leggi proprie, dove tutto è possibile, non si tratta di realtà oggettiva, essa offre al bambino simboli che lo aiutino ad elaborare la sua realtà interiore. Nei racconti fantastici ci sono continui colpi di scena, imprevisti, ma i bambini li affrontano sapendo già che il piccolo eroe vincerà.
3.La favola si nutre di formule, come “c’era una volta” o “e vissero felici e contenti”, si tratta di una sorta di formula di scongiuro, rituali conosciuti con i quali si possono scacciare, sopportare e imparare a padroneggiare paura e spavento.
4.L’eroe della favola vive la sua avventura da solo, separato dal mondo esterno; mani invisibili o il mondo esterno stesso, lo soccorrono solo se egli si trova in estremo pericolo.
5.La favola si evolve nella contrapposizione tra grande e piccolo, tra forte e debole, tra buono e cattivo, dove però il piccolo furbo, il debole e gracile, il buono, vincono sul male, sull’ingiustizia. Il male, rappresentato in forme simboliche, a volte fino ai limiti del cliché e dello stereotipo, concorre per contrasto ad affermare il messaggio astratto della favola: devi impegnarti e dare buona prova di te!; si tratta di un processo di maturazione, di ricerca di identità, di sviluppo, alla fine l’eroe si presenta purificato, cresciuto, più maturo.
Di queste strutture si può certamente anche abusare, come di fatto avviene con alcuni fumetti o film, che sovraccaricano il bambino di un eccessivo peso emotivo; gli errori, la spavalderia, l’arroganza, la stupidità, si ripetono sempre, la ricerca di identità è una continua puntata a seguire…
I rituali che scacciano le paure.
Il gioco è uno strumento utile per elaborare le paure, perché tiene conto degli aspetti essenziali dello sviluppo infantile; il bambino si fa coinvolgere spontaneamente dal gioco, che segue regole da lui stesso stabilite; attraverso il gioco egli controlla il tempo che impiega per affrontare il suo problema e risolverlo. Nel gioco si tratta di trovare una soluzione concettuale al conflitto, il gioco si basa sul principio secondo cui il bambino afferrando gli oggetti fa presa sulla realtà, si confronta con la paura in maniera autonoma, con mezzi propri, cerca di comprenderla per poterla concettualizzare; tutto ciò accade ad una velocità stabilita dal bambino stesso, e non bisogna dimenticare che il gioco conosce velocità diverse: l’incursione fulminea, il passo lento, l’arrestarsi, il guardarsi indietro per misurare di quanto si è andati avanti, il sedersi e adattarsi ad un certo luogo, il retrocedere. I giochi che implicano paura non hanno solo regole, alcuni si trasformano infatti in riti che nel loro svolgimento non cambiano quasi mai; lo sviluppo e la quotidianità dei bambini infatti sono scanditi da alcuni rituali: l’igiene del corpo, l’allattamento durante il primo anno di vita, le abitudini nell’addormentarsi, come le storie della buona notte o il peluche, le strutture temporali che regolano la giornata stessa, la quotidianità è scandita anche da rituali aggressivi, come il fare la lotta con altri bambini, l’imparare a vivere tempi propri e tempi dettati dall’esterno, quelli dell’asilo, della scuola, del doposcuola. I rituali, i ritmi imposti, servono per poter sopportare emozioni forti, esperienze destabilizzanti e crisi esistenziali, essi stimolano la fantasia e la creatività, solo se permettono una trasformazione, se sono modificabili; deve però essere il bambino a stabilire il processo di trasformazione, mentre gli eventi esterni possono creare disturbo. Gli adulti sono spesso accompagnatori in questi rituali, la loro collaborazione è utile solo se richiesta dal bambino; molti bambini escludono i genitori o gli adulti in genere da questo campo di esperienza, e poiché gli adulti intervengono spesso in modo inopportuno, non raramente avviene che i bambini debbano difendere i rituali da tali intromissioni. I rituali sono inventati per rendere comprensibili situazioni esistenziali difficili, potendole così superare in modo concreto, tali rituali sono caratterizzati da tre fattori:
1.si staccano dalla quotidianità e vivono attraverso la rappresentazione di questa, come il vampiro e la messa in scena consapevole, il trucco, il travestimento, ed è proprio la modalità ripetitiva a fornire sicurezza al bambino, ne consegue una forza maggiore con cui il bambino attinge fiducia in se stesso, avendo la sensazione di controllare la situazione.
2.Il rituale vive attraverso l’azione, la comprensione passa attraverso l’intervento fattivo sulla realtà; questo concetto fondamentale, che caratterizza il processo di sviluppo dei bambini, è contenuto nel rituale in modo tanto costruttivo, quanto fantasioso. Il rituale è racchiuso nella sua realizzazione completa, il bambino percepisce se stesso ed il rituale come un tutt’uno.
3.Il rituale ha un inizio e una fine, il bambino ne ha consapevolezza.
I compagni invisibili.
Alcuni bambini tengono tra le braccia il loro peluche per poter sopportare fasi di separazione, altri si inventano compagni invisibili che sono tali solo per gli adulti, per i piccoli sono a portata di mano, sono figure che affrontano insieme a loro qualsiasi cosa, che per un certo periodo di tempo sono inseparabilmente legati a loro; ai genitori questo può creare difficoltà perché possono pensare che il bambino fugga dalla realtà e la confonda con la fantasia; di fatto però accade il contrario: queste figure sono estremamente importanti per lo sviluppo emotivo del bambino, fungono da collante per tappare i buchi nel processo di apprendimento intellettivo ancora lacunoso, sono del tutto innocui per il bambino, è lui che si fa coinvolgere spontaneamente, che dispone di loro, li guida e li investe dei suoi desideri.
Il piacere della paura.
Il piacere della paura ha a che fare con il rischio, con l’emozione, con l’eccitazione, esso si incontra nei luna park di paese, con le loro meraviglie e le loro giostre, così come nei giochi, per esempio nel nascondino, nella mosca cieca, nel rincorrersi; il piacere della paura significa perdersi, avere il coraggio di fare qualcosa da soli, visitare luoghi che stanno al di là delle sicurezze abituali, muoversi in essi, conquistare questi spazi, ha a che fare con il pericolo che viene da fuori, al quale ci si espone liberamente, con la speranza di essere di nuovo al sicuro quando tutto sarà finito, confidando in un lieto fine. I bambini desiderano mettersi in situazioni che incutono loro paura, desiderano vivere queste situazioni, sperimentarle, a patto che si verifichino in un ambiente protetto, in un contesto creato da loro e con regole e rituali che loro stessi hanno deciso; in tal modo le incertezze che accompagnano le paure rimangono sopportabili e controllabili.
Il piacere della paura comporta un aumento dell’eccitamento fisiologico, che permette un’intensa percezione di sé e si accompagna alla speranza di sicurezza; dalla casa dei fantasmi si esce rafforzati perché si sono vinti i mostri, perché ci sono anche gli eroi e le eroine con i quali ci si identifica, si riesce così a confrontarsi con gli avversari “cattivi”; dunque la paura si trasforma in piacere perché include il sicuro ritorno alla quotidianità, il desiderio del nuovo, il contatto con il pericolo; alla misteriosa eccitazione per qualcosa che potrebbe andare storto, si unisce la certezza incontrollabile di un lieto fine. A volte sembra che l’incontro stimolante con la paura si trasformi in una specie di auto-terapia. Di piacere della paura si può parlare quando vi sono tre presupposti di partenza:
1.Quando il bambino si espone volontariamente, attraverso il gioco o la visione di un film, a un pericolo e a una situazione emotivamente destabilizzante che sottostà però ad uno schema abituale.
2.Quando esiste un pericolo oggettivo esterno: il mostro della casa dei fantasmi, l’eccitamento sulla giostra, il gioco della mosca cieca, oppure quando il proprio eroe televisivo o della favola, si trova in pericolo. Il bambino lega le sue emozioni a queste figure e
3.Rinuncia alle certezze abituali perché sapere che il gioco o il film avranno un lieto fine, gli da fiducia e lo rassicura.
È tuttavia necessaria la concomitanza di tutti i tre suddetti elementi, se ne manca uno, può capitare che si crei spavento, turbamento emotivo, profonda destabilizzazione. Questo accade ad esempio quando i bambini sono esposti involontariamente ad un film, ad una storia, o se manca un lieto fine atteso. Nel piacere della paura si manifesta un legame inconscio tra vicinanza emotiva e pericolo reale; tale legame è sopportabile solo perché il bambino conosce già le modalità con le quali si manifesta l’eccitazione emotiva che ne consegue. Il piacere della paura si manifesta attraverso reazioni corporee, sale la pressione sanguigna, le mani si bagnano di sudore, i bambini arrossiscono, divengono insicuri, si tappano occhi e orecchie, si contraggono o immobilizzano, sospirano, scoppiano a ridere, gridano, si siedono dritti, commentano sollevati, cercano vicinanza e protezione, assumono comportamenti regressivi come succhiarsi il dito, mettersi le dita in bocca oppure si mangiano le unghie.
Gli errori dei genitori.
Perché i bambini possano gestire le paure è fondamentale che essi partecipino al processo di elaborazione con la loro fantasia e creatività. D’altro canto, va tenuto presente che i genitori possono bloccare quest’elaborazione con reazioni inopportune; frasi del tipo ”non devi avere paura” non tengono in giusto conto le apprensioni infantili, ma anche espressioni come “non è cosi brutto come credi” non accettano il bambino per quello che è; questo modo di minimizzare crea una sensazione di abbandono.
Un’educazione iperprotettiva, che amplifica la paura e la drammatizza eccessivamente dà al bambino la sensazione di trovarsi in balia dei suoi timori, del tutto impotente. Così, non di rado, nasce la paura della paura e si manifesta un comportamento poco consono alla situazione e all’età, che tende a evitare il confronto. Bambini educati in modo iperprotettivo sono spesso paralizzati e scoraggiati di fronte alle paure, incapaci di porsi in modo sicuro perché tali paure appaiono indeterminate, dilaganti, ed è difficile attribuire loro una forma e un simbolo. Questi bambini non riescono a guardare in faccia la loro paura: essa assume le sembianze di un ghigno orrendo e non guardare sembra essere l’unica soluzione possibile, seppur poco costruttiva, in quanto non fa che aumentare nel bambino la sensazione di orrore nei confronti dell’immagine. Prendere sul serio e in modo adeguato le paure del bambino, esclude il fatto di mettersi al di sopra di esse e di ridicolizzarle. Espressioni come “i mostri non esistono!”, “un bambino grande come te non ha paura di queste cose!”, non aiutano certo i bambini ad affrontare le proprie paure e tanto meno a elaborare consapevolmente le proprie insicurezze. I bambini trattati in questo modo, non si sentono accettati, si sentono soli, ben presto si fanno strada sensazioni di fallimento e scoramento. Chi minaccia i bambini con le paure impedisce loro di crescere, non li rende autonomi, li educa alla dipendenza. Più tardi questi ragazzi si chiudono, appaiono silenziosi e iperadattati, sempre nervosi, per paura di frustrazioni e fallimenti sono poco inclini a sperimentare cose nuove, la sensazione che la paura possa essere una forza costruttiva è troppo poco sviluppata. Dal canto loro, i genitori spesso insicuri in prima persona, non sanno che fare quando vedono che i figli vogliono affrontare ed elaborare le loro paure con i mezzi propri:
I genitori mostrano compassione (“ Povero bambino!”; “Mi fa così pena!”) e desiderano proteggere il proprio figlio dalle sue paure.
I genitori trattano i bambini paurosi, insicuri, come esseri dipendenti e li rendono in questo modo ancora più incapaci di cavarsela da soli. Fanno spesso proposte inadeguate per età e per situazione, non riescono a stabilire un contatto con il bambino, che si rifiuta di seguire i loro suggerimenti, così spesso finisce che nessuno sa più che cosa fare. Ci si accusa reciprocamente, i rimproveri si trasformano in prove di forza umiliante e alla fine ci si trova con la sensazione di impotenza, d’incapacità, di fallimento.
Molti genitori vogliono risolvere le paure al posto dei figli, il problema è che le affrontano con i loro mezzi, puntano troppo sul colloquio, la ragionevolezza e non si accorgono così delle particolari capacità di elaborazione dei bambini: il gioco, la magia e il rituale. Quando i genitori vogliono risolvere ed elaborare le paure al posto dei figli, impediscono loro di essere autonomi, rafforzando quindi la loro dipendenza; il bambino non diventa responsabile di se stesso e delle sue paure, ma scarica questa responsabilità sui genitori, con conseguenze senz’altro problematiche.
L’ iperprotezione da parte dei genitori, lascia traccia nel bambino in crescita, di esperienze contrastanti che possono riflettersi in tensione, stress e forti squilibri psichici sull’intera relazione genitori-figlio. Se i bambini avvertono che i genitori vivono le loro paure con la coscienza sporca o addirittura con sensi di colpa, le trasformeranno in mezzi per raggiungere un fine, a volte vengono finalizzate a legare i genitori a sé: le madri, più che i padri, vengono trattenute in casa con frasi del tipo “Se te ne vai, ho paura!”, ”Non puoi andare via, devi restare qui!”, oppure il momento di andare a dormire la sera viene tirato in lungo con frasi come “la cameretta mi fa paura!”, “Ci sono i fantasmi!”, “Ho paura del buio!”.
Con commenti del tipo “L’asilo mi fa tanta paura”, “Non vado più a scuola, mi fa paura!” i bambini esercitano pressioni sui genitori, chiedono di agire al posto loro. Al tempo stesso il bambino mostra una notevole resistenza e opposizione ai suggerimenti dei genitori per superare la paura, e questi ultimi possono sforzarsi quanto vogliono di elaborare idee serie, possono appellarsi quanto vogliono alla ragione, il bambino non accetterà una tutela eccessiva, la resistenza e i rifiuti che lui oppone, danno a volte indicazioni indirette della necessità di aver più corresponsabilità e autonomia. I bambini non vogliono essere compatiti, desiderano trovare insieme ai genitori strade per gestire in maniera creativa la paura.
Niente paura della paura
Le paure infantili compaiono a volte all’improvviso, ma non scompaiono con altrettanta velocità, questo vale soprattutto per le paure legate allo sviluppo. I genitori devono munirsi di pazienza e di indulgenza, perché sono i bambini stessi a stabilire il tempo che occorre loro per vincere le paure. Solo attraverso la frequente ripetizione il bambino acquista sicurezza e impara che è in grado di scacciare i mostri, gli spiriti e i vampiri.
Per elaborare le paure il bambino ha bisogno di fiducia in se stesso e nelle proprie forze. I bambini devono collaborare al loro superamento, anzi, questo è il presupposto perché le paure possano essere elaborate in maniera cosciente e creativa. I consigli dei genitori possono sortire anche un effetto contrario a quello voluto, spesso le idee elaborate dagli adulti esigono troppo dai bambini e vengono messe in pratica troppo velocemente, non tengono conto del loro livello di sviluppo. A tutto ciò si aggiunge inoltre un altro aspetto: i bambini se la cavano meglio con le loro idee e creazioni, con i loro simboli e le loro magie e spesso manifestano nei confronti dei suggerimenti dei genitori un rifiuto, un opposizione netta. I genitori devono portare i loro figli alla collaborazione per superare le paure. Il rifiuto di questi ultimi è spesso un segnale che indica l’uso di tali paure per raggiungere uno scopo preciso (per empio per far sentire i genitori in colpa, per attirarne l’attenzione).
Per superare le paure i bambini non hanno bisogno di una compassione paralizzante, ma di una partecipazione emotiva che li rafforzi, li incoraggi a intraprendere la loro strada. In questi casi i genitori hanno più o meno la funzione di un parapetto, di un sostegno che dà stabilità e orientamento. Quando i bambini si sentono abbandonati e se stessi non hanno più certezze, sono privi di qualsiasi legame e questo riduce le loro capacità di elaborazione; hanno bisogno della fiducia dei genitori, hanno bisogno di parole che infondano sicurezza quando la strada si rivela, a volte, un vicolo cieco, è necessario trasmettete loro la sensazione che possono sopportare e superare questa situazione di paura. Più la situazione appare imperscrutabile e poco chiara, più opprimente e scoraggiante è l’effetto sul bambino.
I bambini vogliono dare un volto alla paura e anche regressioni a stadi di sviluppo già superati, per esempio la vicinanza a un peluche, il gesto emotivamente rilassante del dito in bocca, possono essere le componenti normali per elaborare la paura.
L’educazione può creare paure.
Le paure non nascono solo dallo sviluppo emotivo e intellettivo del bambino, non di rado possono anche essere il prodotto dell’educazione impartita dai genitori o da altre persone che si occupano del bambino, ma non è solo uno stile educativo che non accetta il bambino per quello che è a produrre in lui le paure, anche atteggiamenti che si manifestano in frasi come “lo faccio solo per il tuo bene” possono portare a non tenere in giusta considerazione il bambino e a prendere decisioni al posto suo.
Le paure condizionate dall’educazione sono spesso frutto della relazione sociale tra genitori e bambini, tra il personale pedagogico e i ragazzi, per questo vengono anche definite paure sociali. Lo psicologo Arnd Stein riconduce queste paure a ciò che lui chiama “conto corrente dell’educazione”, in cui per i bambini la voce “dare” rappresenta sostanzialmente un rifiuto, e la voce “avere” rappresenta una mancanza di affetto. In questo rapporto bambini e genitori non sono partner, piuttosto avversari. Le paure sociali possono però essere anche frutto di un disinteresse degli adulti verso la relazione educativa, disinteresse che crea nei bambini sensazioni di solitudine; risulta dunque evidente che le paure sociali nascono da situazioni composite, fanno uso di simboli e contenuti condizionati dall’età, lasciando il bambino in uno stato di confusione emotiva generale difficilmente affrontabile.
Le paure infantili di abbandono, che dovrebbero essere comprese partendo proprio dal livello di sviluppo del bambino e dalla sua quotidianità, si trasformano in una minaccia con frasi del tipo: “Se continui così ti lascio qui!” sibilate dalla madre e dal padre.
Le paure di separazione possono diventare insopportabili se vengono rafforzate da frasi come: “Se non fai il bravo, ti spedisco in collegio!” oppure possono essere trasformate in rimorsi di coscienza altrettanto opprimenti se per esempio sono accompagnate da commenti del tipo: “Tu mi farai ammalare” oppure “Tu mi porterai alla tomba!”.
La paura primaria dei rumori forti e improvvisi, può assumere, attraverso sfuriate e sgridate violente e incontrollate, una dimensione inquietante.
La ricerca di un appoggio e di una guida sarà vana in un clima familiare freddo dove il bambino si sentirà rifiutato e sperduto. E così  le paure condizionate dall’educazione nascono.

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