giovedì 27 ottobre 2016

Depressione e Rapporto di Coppia

Com’è la vita di coppia, quando uno dei due partner è depresso? Come bisogna comportarsi, se il nostro compagno ci accusa d’essere la causa dei suoi malesseri?

In questi giorni, una cara amica mi ha confidato un suo problema personale, e ispirandomi alle sue vicende ho pensato di scrivere un articolo dedicato a un problema che assilla molte coppie: il coinvolgimento del partner in un quadro depressivo. Che cos’è la depressione? Secondo la Classificazione ICD10 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, perché si possa definire un quadro di depressione è necessario che siano presenti almeno due dei seguenti sintomi: un basso tono dell’umore, l'anedonia e la perdita di interessi. L’anedonia descrive l'incapacità di un paziente a provare piacere in circostanze e attività normalmente gratificanti come dormire, mangiare, relazionarsi ad altre persone e svolgere attività sessuali. Secondo il DSM-IV-TR, invece, i principali sintomi depressivi sono due: l'umore depresso e l'anedonia, ed è sufficiente che il paziente ne presenti almeno uno per porre diagnosi di episodio depressivo maggiore.

Con questa premessa, ne consegue che se uno dei partner vive un quadro depressivo, la qualità della relazione di coppia subisce una grave deflessione. Il soggetto depresso non prova interesse per le attività domestiche, si occupa poco della casa, diventa apatico e indolente. Si sente pesante, indesiderabile e inutile, e prova un barlume di piacere solo quando si avvicina il momento di andare a dormire. Ha sempre meno stima e fiducia in se stesso, si sente fallito in diversi ambiti, in particolar modo nel campo professionale e, soprattutto se è un uomo, si sente minacciato anche nella sfera sessuale. A poco a poco, dirada le attenzioni verso il partner. Non provando interesse per se stesso, come potrebbe soddisfare le esigenze di un’altra persona, che a sua volta ha bisogno di coccole, rassicurazioni e conferme? Per tutelare le sue scarse risorse, il soggetto si chiude in se stesso, congela i propri sentimenti sotto una coltre d’indifferenza e tende a evitare anche l’atto sessuale.

Per il coniuge, la vita in casa diventa sempre più difficile, e capita che certe situazioni, trascinate allo stremo, sfocino in una separazione. Nelle prime fasi, quando il quadro depressivo non è ancora evidente, il compagno trascurato può reagire con rabbia, scatenando ancor di più la chiusura reattiva dell’altro. Si può giungere a scambiarsi accuse pesanti e non sempre vere. Il partner più solare vorrebbe che il compagno s’impegnasse a guarire, mentre il depresso, che per sua natura ha la tendenza a manipolare gli altri, gli rinfaccia d’essere colpevole del suo stato: “Se mi sento così e non ti voglio più, è colpa tua.” Il partner non deve cadere nel tranello di credere a ogni sua insinuazione, a rischio di scivolare egli stesso nella depressione. Non intendo, in questa sede, elargire decaloghi di comportamento perché ogni coppia ha le sue esigenze e i suoi equilibri, ed elencarli tutti sarebbe impossibile. Mi limiterò a dire che il coniuge non depresso dovrebbe cercare la forza di valutare la situazione con obiettività, distinguendo gli effettivi difetti del compagno dai sintomi del malessere psichico. Quindi, se è deciso a salvare il rapporto di coppia, dovrebbe mettere in atto le più appropriate strategie per riportare in casa un clima di serenità. Non sentendosi giudicato o attaccato, il depresso potrebbe intravvedere un’effettiva possibilità per uscire dal suo malessere, e riuscire a risollevarsi. 

Se questo non bastasse, come venirne fuori? Se si tratta di depressione conclamata, non è facile rialzarsi da soli. É sbagliato pensare che un depresso, se vuole, se ha abbastanza forza di volontà, ce la fa. Non si tratta di un capriccio, ma di un vero e proprio stato patologico, non del corpo ma dell’umore. Perché il soggetto torni a vedere le cose con serenità, è necessario che subentri un cambiamento positivo nel suo stile di vita (condizione non sempre dipendente della sua volontà, ma pur sempre possibile, anche grazie agli sforzi del partner, ormai incamminato sulla via della beatitudine) o rivolgersi a un professionista. Se siete i compagni di un depresso, all’inizio attendetevi un rifiuto motivato da ragioni perlopiù economiche e d’orgoglio (“Chi, io dallo psicologo? Non sono mica matto! Vacci tu!”), ma agendo con pazienza è possibile portare il soggetto ad ammettere d’aver bisogno di un supporto specialistico. Fategli capire che richiedere un consulto, privato o pubblico, non significa essere pazzi o deboli. Significa soltanto che, in quel momento, le risorse di cui si dispone sono insufficienti per proseguire da soli. Se siamo aggrappati al ciglio di un pozzo e qualcuno ci porge la mano per sollevarci, la rifiutiamo solo per dimostrare di saper uscire da soli? Alcuni lo farebbero, ma quale prezzo? Ammettere d’aver bisogno degli altri non è segno di debolezza, ma di maturità. La prima visita potrebbe essere condotta da un medico di fiducia – per esempio, il medico di base – che, come esterno alla coppia e in virtù del suo titolo accademico, può insistere sull’opportunità di approcciare una cura specialistica. Le cure si avvalgono della psicoterapia e, se necessario anche di un supporto farmacologico studiato sul singolo paziente, per scelta del principio attivo, posologia e durata del trattamento. Per richiedere il trattamento farmacologico è necessario rivolgersi a un medico psicoterapeuta o a uno psichiatra, mentre per i colloqui è sufficiente avvalersi della figura dello psicologo. Nei casi di depressione lieve, è possibile aiutare la ripresa con rimedi naturali che agiscono sul meccanismo dell’uptake della serotonina. 

Anche l’alimentazione può influire sull’umore. L’assunzione di grassi e zuccheri, dopo aver elargito un breve e illusorio periodo di benessere, induce un innalzamento dell’insulina che blocca la serotonina nel cervello, provocando nervosismo, debolezza e insoddisfazione. Se vi sentite d’umore basso o dovete cucinare per un compagno spesso triste e demotivato, preferite – se possibile - un’alimentazione ricca di fibre (frutta e verdura), pesce e legumi e povera di carne e latticini.

martedì 25 ottobre 2016

Testimonianza di Francesca

ecco una nuova testimonianza tratto dal libro prossimamente in uscita..
storie di rinascita e vittoria di queste mamme che hanno saputo fare della propria sofferenza il loro punto di forza..
a te cara amica, mamma meravigliosa che tu possa nella vita non chiederti più..MATERNTA' RUBATA


************** Testimonianza di FRANCESCA ******************
L'immagine può contenere: oceano, cielo, nuvola, crepuscolo, spazio all'aperto, natura e acqua

Quando è nato mio figlio, che ora ha 14 mesi, la mia vita è cambiata per sempre: sono diventata madre, una cosa che desideravo con tutta me stessa, ma allo stesso tempo ho sperimentato una delle malattie più devastanti che una donna possa provare, che ti porta a rifiutare tuo figlio e a perdere la tua identità di donna e di madre.
Appena sposati, abbiamo subito a provarci e dopo alcuni mesi (per me interminabili e tristissimi, pensavo che non avrei mai avuto un figlio), finalmente ad aprile sono rimasta incinta.
Per paura e scaramanzia, ho deciso di non dire che ero incinta a nessuno, nemmeno a mio fratello. Che senso aveva dirlo, se tanto avrei perso il bambino? Io all’epoca pensavo solamente a questo.
L’ossessione di poter abortire era così radicata in me che ho iniziato a sviluppare molti DOC (disturbi ossessivi compulsivi): se non prego un certo numero di volte, perdo il bambino; se non sistemo casa in un certo modo, perdo il bambino; se dico parolacce, perdo il bambino. La mia mente era davvero traumatizzata e per proteggersi aveva cercato di mandarmi questi segnali. Una brava psicologa che mi ha preso in cura dopo la depressione mi ha detto infatti che quando qualcosa non va, la mente cerca di farsi sentire e mandarci dei segnali (nel mio caso i DOC), per fermarci, per chiederci di fare qualcosa. Ma chi ne è dentro, da solo, putroppo non può capirlo.
E poi, finalmente, una bella nottate di gennaio sono iniziate le doglie e ho partorito mio figlio. Ricordo quando è nato come fosse adesso: non ho sentito nulla di nulla. Avevo partorito e non dovevo più stare in ansia per la salute di mio figlio. Era nato vivo e vegeto e sano: missione compiuta.

Ad appena due ore dal parto, ho capito che qualcosa non andava. La felicità davvero non arrivava, anzi: continuavo a sentirmi in ansia. Non avevo mai pensato che sarei diventata madre e quando ho avuto il mio piccolo tra le braccia, mi sono accorta che non sapevo che farci (oddio se piange, oddio non mi viene il latte, oddio come posso stargli dietro).
Il giorno in cui siamo tornati a casa dall’ospedale, ho pianto in macchina. Ero terrorizzata da quello che mi aspettava. Come avrei fatto a prendermi cura di un bimbo, mentre ero stanca, demotivata, disperata?
Ho iniziato a collezionare DOC assurdi: lavavo i biberon solo in un certo modo, sciacquandoli mentre un certo numero di volte, altrimenti chissà che poteva succedere al piccolo
Quando ho raccontato la mia storia alla psichiatra, lei ha deciso che il ricovero era l’unica via. 
Il ricovero, invece, è stato l’inizio della mia rinascita. Grazie ai farmaci e alla psicoterapia a cui sono stata sottoposta per due settimane, ho iniziato ad accettarmi come madre, a capire che la depressione post partum non è un capriccio di una mamma che non vuole prendersi cura di suo figlio perché non ne ha voglia, ma che è una malattia devastante, che distrugge l’anima delle nuove mamme. Ho iniziato a capire che forse se ne poteva uscire.

Ora ripenso a quel periodo con molta rabbia. Adoro mio figlio, lo amo di più ogni giorno che passa. Sono gelosissima se rivolge il suo sguardo a qualcuno che non sono io, senza di lui non esisto e non sono. E un giorno spero anche di riuscirgli a dare un fratellino o una sorellina, sarebbe il mio desiderio più grande.

venerdì 7 ottobre 2016

Testimonianza di Anna, della sua rinascita dalla Depressione in Gravidanza

E oggi l'estratto di una nuova testimonianza una mamma uscita coraggiosamente dal Tunnel della Depressione in Gravidanza che troverete nel libro di prossima pubblicazione... che come il sole esce ancor più brillante dalle nuvole dopo la tempesta!

********************Testimonianza di Mara********************



Ciao, sono Mara, mamma di Mattia che ormai ha 3 anni.


La mia gravidanza e la mia maternità non sono stati facili ….ma partiamo dall’inizio.

Era maggio, sì maggio e me lo sentivo che c’era qualche cosa di strano in me. Avevo solo un giorno di ritardo ma già ero terrorizzata. Erano stati già giorni difficili in quanto dopo più di 10 anni di fidanzamento a distanza con il mio compagno, quest'ultimo mi annunciò che si sarebbe trasferito nella mia città e questo mi mandò nel panico.. Ero pronta ad una possibile convivenza con lui? Lo amavo veramente? Non ero più sicura di niente…


Ma torniamo a noi … decisi di comprare il famoso test di gravidanza . Andai a casa e chiusa in bagno feci lo feci …due secondi e tac.. positivo.
Chiamai subito mia zia che era a casa mia e le feci vedere il risultato, e piangendo le dissi: “ io non lo voglio”...

Passai nove mesi di inferno, con nausee nervose, pianti, disperazione e la voglia di morire…non ragionavo più. 


Non mi rendevo per niente conto che nel mio corpo stava crescendo una vita .
Andavo alle visite di controllo e non riuscivo a preoccuparmi per la salute del piccolino, però mi emozionavo davanti alle ecografie e ricordo ancora adesso l’emozione di quando mi dissero che ero in attesa di un bel maschietto.

Arrivò il giorno del ricovero in ospedale per liquido amniotico scarso. Mi fecero tre induzioni ma niente..il mio corpo non rispondeva e Mattia non voleva nascere .


D’accordo con la ginecologa decidemmo per il parto cesareo.

Passai la notte prima dell’intervento insonne e piangendo pensavo che stava arrivando la fine perché sicuramente dopo la nascita di Mattia l’avrei fatta finita. Non potevo continuare a fingere che tutto andava bene, che ero uguale alle altre mamme che amano il proprio figlio.. Io continuavo a rifiutare questa vita.


A fine agosto, tornata dalle vacanze, il mio psichiatra decise di ricoverarmi in una clinica privata in cui lavorava nel reparto di riabilitazione psichiatrica.
In questo contesto vi rimasi un mese e una settimana; periodo nel quale i medici individuarono la cura adatta a me .
Ricordo però che ogni volta che venivano a trovarmi i miei genitori con Mattia al loro rientro a casa avevo sempre forti attacchi di panico perché nella mia testa c’era sempre quella voce che mi diceva che Mattia non significava nulla per me....


Ho capito però che non tutte provano questo amore incondizionato per i propri bimbi e quindi me ne sto facendo una ragione per vivere più serenamente .

Mi fa sorridere in quanto bambino, non in quanto figlio ma sono certa che prima o poi anche questo passerà.