venerdì 4 novembre 2016

La Depressione Post Partum raccontata da un papà

Ed eccoci puntuali come ogni settimana con uno stralcio di racconto tratto dal libro "MAMME SOTTOSOPRA" testimonianze di Vittoria sulla Depressione in Gravidanza e nel Post Partum.
oggi vi proponiamo una testimonianza diversa dal solito, il racconto di un papà che ha voluto dirci cosa significa vivere accanto ad una persona che ha sofferto di dpp.

 ****************testimonianza di Zeno marito di Sofia*****************

Fin da adolescente ho coltivato il sogno di diventare papà. Forse un sogno non molto comune, ma per me ha sempre significato moltissimo; molte volte sembrava potersi concretizzare, altre si allontanava, finché un giorno accadde.
Dopo una gravidanza piuttosto travagliata (aggettivo quanto mai azzeccato), nacque il nostro primogenito. La tensione con cui vivemmo tutti i nove mesi sfociò – nel mio caso personale – in una felicità incommensurabile: il ricordo è tutt'ora intatto e anche oggi, quando lo vedo mi ricordo di quel giorno.
I problemi, tuttavia, non erano superati. Probabilmente non volevo vederli, non saprei dirlo, ma tutta la tensione e la paura che ci accompagnarono durante la gravidanza lasciarono molti strascichi. Personalmente ammetto che li sottovalutai, perché quella strana consapevolezza e forza che sentivo dentro di me mi diedero la convinzione che avremmo superato qualsiasi difficoltà, senza grossi affanni. Finalmente mi sentivo realizzato, uomo fatto e compiuto, padre di famiglia e nulla mi avrebbe fermato.
Invece Sofia iniziò fin da subito con i primi disagi: sia per l'allattamento, sia per essere lasciata sola per gran parte della giornata, sia per non riuscire a riposare e per tanti altri motivi. Le promisi di essere più presente, di alleggerirla del "carico" di lavoro, ma anche per me iniziarono le difficoltà.
In ufficio il clima era pesante, capitarono alcuni mesi in cui lo stipendio non arrivava, le preoccupazioni aumentavano di giorno in giorno. Quando rientravo, trovavo una situazione ancor più drammatica, se così si può dire: il mio sogno idilliaco era miseramente svanito.
Il giorno in cui lei crollò me lo ricordo come fosse ieri. Andammo a fare una passeggiata, era primavera ed era una giornata piacevolissima. Prendemmo un gelato e rientrammo: lei era sorridente e in cuor mio mi sentivo sollevato: tutto andava meglio. Che illusione: rientrati a casa, scoppiò a piangere dicendomi che non ce la faceva. Arrivarono i miei suoceri e decidemmo che Sofia e il piccolo si sarebbero trasferiti da loro, almeno per un periodo.
Io vissi tutto questo come un enorme fallimento: non c'era più la mia famiglia, il sogno che avevo inseguito mi stava sfuggendo di mano, non era più sotto il mio "controllo" e – non da ultimo – nessuno a cui poter chiedere qualunque cosa. I miei genitori la presero malissimo e sostennero che l'uscita di casa fosse più un capriccio che altro; io non capivo più nulla, facevo bene a lasciarla andare? E se non fosse più tornata? E il piccolo? Di punto in bianco era come retrocedere di anni, prima del matrimonio, in cui vivevo da solo. La vita ti si svuota, perdi i riferimenti, passi dal voler mandare tutto a quel paese ad altri in cui ti propendi in sforzi di tenacia e forza di volontà nel dover resistere
Nessuno capiva: né i parenti, né gli amici. Al lavoro la situazione precipitava a sua volta: rasentai il crollo. O forse ero già crollato e non me ne rendevo conto. Poi accaddero due eventi che – nella loro totale diversità – diedero la svolta: il primo fu una sbandata che presi una sera, in un momento di estrema debolezza, con una amica. Fu talmente maldestra come esperienza, che Sofia mi scoprì immediatamente, con tutte le conseguenze del caso.
La seconda fu un incontro casuale con il mio ottico, una persona straordinaria che oserei definire un amico. Non so perchè ma quella volta mi confidai, raccontando (in parte) la nostra storia. La sua risposta fu spiazzante, uno squarcio: "Ah no, ma scherzi, se è in depressione deve prendere assolutamente i farmaci! Sono fondamentali per poter guarire!". Ecco che quello che mi era sempre suonato come un tabù, diventava una cosa del tutto ovvia e necessaria.
Da quel periodo in avanti, realizzai molte cose. Su tutte, che non poterla aiutare direttamente a superare la depressione non era una sconfitta, bensì una diversa forma di aiuto: solo con il mio appoggio totale e incondizionato ce l'avrebbe fatta. Solo mettendo da parte le mie fantomatiche pretese da "pater familias" e di sentirmi uomo forte e sicuro le sarei stato davvero vicino.Mi ci sono voluti mesi per aprire gli occhi, e questo qualche conseguenza l'ha avuta. Ma ora posso dirmi contento delle mie scelte, soddisfatto per non aver ceduto a facili tentazioni e – ora che non solo ha superato quel periodo ma è pure in prima linea per aiutare altre con le stesse problematiche – orgoglioso di lei.
L'immagine può contenere: oceano, cielo, crepuscolo, nuvola, spazio all'aperto, natura e acqua

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